Tradução para o italiano da Carta a Mondrian, Lygia Clark (maio de1959). Lettera a Mondrian, Lygia Clark (maggio, 1959).
Oggi mi sento più solitaria di ieri. Ho sentito una necessità impellente di guardare il tuo lavoro, anche tu, un vecchio solitario. Ti ho rivisto in una foto magnifica e ho avuto la sensazione che stessi con me e per questo mi sono sentita meno sola. Forse un domani potrò dare un po’ dei miei occhi, della mia solitudine e della mia testardaggine a qualcuno che sarà un artista come me o ancor più, come te. Non so per quale ragione tu lavorassi. Se io lavoro, Mondrian, è innanzitutto per realizzarmi nel più alto senso etico-religioso. Non è tanto per creare una superficie o un’altra… Se espongo, è per poter trasmettere ad un’altra persona questo “momento” immobile nella dinamica cosmologica captata dall’artista. Tu che eri un mistico quante e quante altre volte devi aver vissuto “momenti” come questi nella tua vita, o no?
Dicono che tu detestassi la natura — è vero? Io, proprio oggi, ho avvertito un senso di trascendenza attraverso la natura, nella notte, nell’amore — come potevi provare rabbia per la natura? Non credi che l’opera d’arte sia il prodotto di due polarità, che è la dinamica della vita umana? Eri così profondamente legato alla terra e il volo in direzione verticale ne era la misura?
La natura, infatti, mi ha nutrita, mi ha equilibrata in una forma quasi panteistica. Ma col tempo, durante un’altra crisi, già non era stato più sufficiente ed è arrivato il “vuoto pieno”, la notte e il suo silenzio che è diventato la mia dimora. Attraverso questo “vuoto-pieno” è emersa in me la consapevolezza della realtà metafisica, il problema esistenziale, la forma, il contenuto (spazio pieno la cui realtà si concretizza soltanto in funzione diretta dell’esistenza di questa forma…).
Mondrian: tu hai creduto nell’uomo. Sei andato oltre: in un sogno utopico, stupendo, pensasti ad ere possibili, in cui la stessa vita “costruita” sarebbe stata una realtà plastica…
Chissà se questo ti salvava dalla tua propria solitudine. Infatti amico mio, io non sogno perché non credo. E non è per eccesso di realismo, ma per me il collettivo esiste soltanto in ragione di questo disordine di ordine pratico e sociale. Se l’uomo non può sentire quanto è importante questo sviluppo interiore — definiamolo una forma che nasce con la persona come un pugno chiuso, aprendosi forse nel primo momento della nascita — allora egli giammai potrà raggiungere la sua pienezza come la rosa che si apre in un tempo tutto suo e muore amorosamente realizzata, intelligente e felice…
Mondrian, un segreto ti racconterò: a volte, mi sento così disperata, perché nel momento in cui “verifico” questo problema, la solitudine, il freddo, “la paura della paura” mi avviluppano con tutte le loro braccia e provano a chiudere questo nuovo tempo che sboccia nella mia forma interna, schiacciandone petali freschi e delicati che ci metteranno altro tempo ad aprirsi come si apre un occhio lentamente, dopo essersi beccato un bel cazzotto.
Mondrian, se la tua forza può servirmi a qualcosa, sarà come una bistecca cruda messa sull’occhio perché esso torni a vedere il più in fretta possibile e possa affrontare questa realtà, a volte insopportabile — “l’artista è un solitario”. Figli e amore non importano, dentro di lui, infatti, vive solo. Nasce in se stesso, un parto difficile ad ogni minuto, solo irrimediabilmente solo. Tu forse potresti essere la pioggia che bagna il fiore nato sulla sabbia o sull’asfalto, se preferisci, giacché è città e non natura.
Oggi per me tu sei molto più vivo di tutte le persone che mi hanno compresa, fino ad un certo punto. Sai perché? Vedi un po’ se ho ragione o no. Già sai del gruppo neoconcreto e sai anche che continuo ad esserne il problema, il che è triste (tu eri uomo, Mondrian, ti ricordi?). Quando il gruppo si formò, c’era un’identificazione profonda, secondo me. Era la presa di coscienza di un tempo-spazio, di una realtà nuova, universale come espressione, infatti comprendeva la poesia, la scultura, il teatro, l’incisione. Persino la prosa, Mondrian…Oggi la maggioranza dei componenti del gruppo si dimentica di quest’affinità (la cosa più importante) e vuole imporvi un senso minore e preferisce che cresca senza questa identità, per me imprescindibile, in un tentativo di dare una continuità superficiale a questo movimento.
Tu sai bene che nel cubismo le forme sono state varie, ma nel senso più profondo che rappresentava questa nuova realtà spaziale, sono state rispettate. Soltanto il tempo, a mio parere, avrebbe dato continuità reale a questo movimento.
Adesso, vecchio mio, simpatico maestro, dimmi in tutta franchezza: il mio desiderio è lasciare il gruppo, continuando fedele a questa mia convinzione, rispettando me stessa, anche se, più sola di ieri e oggi, sarò domani; infatti le persone che un giorno si sono avvicinate, in tempi ben recenti, si allontanano disorientate senza affrontare la durezza dello star soli in un solo pensiero, senza considerare il più alto senso etico di morire domani — sola, ma fedele ad un’idea. Dimmi, amico mio: è duro, è terribile perché è come smettere di avere, anche senza staccarmi veramente dal gruppo — infatti l’unità già si è frammentata — la verità dura e terribile fatta in sette per poi moltiplicarsi in altrettante piccole realtà, sicuramente cento volte più consolatorie.
Oggi io piango — il pianto mi copre, mi segue, mi consola e rinfranca, in qualche modo, questa superficie dura, inflessibile e fredda di fedeltà ad un’idea.
Mondrian: oggi ti voglio bene.
Referência bibliográfica do original:
FERREIRA, Glória e COTRIM, Cecilia [Orgs.]. Escritos de artistas, anos 60/70. Jorge Zahar Editor: Rio de Janeiro, 2006 (p. 46-49).
Carta a Mondrian, Lygia Clark (maio de 1959)
Hoje me sinto mais solitária que ontem. Senti uma enorme necessidade de olhar o teu trabalho, velho também solitário. Dei com você numa foto fabulosa e senti como se você estivesse comigo e com isto já não me senti tão só. Talvez amanhã possa dar também de meus olhos, de minha solidão e de minha teimosia a alguém que será um artista como eu ou talvez mais ainda, como você. Não sei para que você trabalhava. Se eu trabalho, Mondrian, é para antes de mais nada me realizar no mais alto sentido ético-religioso. Não é para fazer uma superfície e outra… Se exponho é para transmitir a outra pessoa este “momento” parado na dinâmica cosmológica, que o artista capta. Você que era um místico deve quantas e quantas vezes ter vivido “momentos” como este dentro da vida, ou não?
Dizem que você detestava a natureza — é verdade? Pois eu senti hoje essa transcendência através da natureza, na noite, no amor — como você poderia ter raiva da natureza? Você não acha que a obra de arte é o produto de duas polaridades, que é a dinâmica da vida humana? Você estava preso à terra tão profundamente e o vôo no sentido da verticalidade era sua medida?
Pois a natureza me alimentou, me equilibrou quase que de uma forma panteística. Mas com o tempo, numa outra crise, já isto não adiantou e foi o “vazio pleno”, a noite, o silêncio dela que se tornou a minha moradia. Através deste “vazio-pleno” me veio a consciência da realidade metafísica, o problema existencial, a forma, o conteúdo (espaço pleno que só tem realidade em função direta da existência desta forma…).
Mondrian: você acreditou no homem. Você fez mais: num sonho utópico, estupendo, pensou em eras vindas em que a própria vida “construída” seria uma realidade plástica…
Talvez isto te salvasse da tua própria solidão. Pois eu, meu amigo, não sonho porque não acredito. Não por excesso do realismo mas para mim o coletivo só existe na razão desta desordem de ordem prática e social. Se o homem não pode sentir como
é importante esse desenvolvimento interior — chamemos de uma forma que nasce com a pessoa como um punho fechado, talvez se abrindo no primeiro tempo com o próprio nascimento — então ele jamais poderá atingir sua plenitude como a rosa que se abre dentro do seu próprio tempo e morre amorosamente realizada, inteligente e feliz…
Mondrian, um segredo eu vou te contar: às vezes, eu me sinto tão desesperada, porque no momento em que “checo” este problema a solidão, o frio, “o medo do medo” me envolvem com todos os seus braços e procuram fechar este novo tempo que desabrocha na minha forma interior, amassando pétalas frescas e delicadas que levarão novo tempo para se abrirem como se abre um olho devagar, depois de ter levado um bom murro.
Mondrian, se sua força pode me servir, seria como o bife cru colocado neste olho sofrido para que ele veja o mais depressa possível e possa encarar esta realidade às vezes tão insuportável — “o artista é um solitário”. Não importam filhos, amor, pois dentro dele ele vive só. Ele nasce dentro dele, parto difícil a cada minuto, só irremediavelmente só. Você seria talvez a chuva que molha a flor que nasceu na areia ou no asfalto, se você prefere, pois é cidade e não natureza.
Você hoje está mais vivo para mim que todas as pessoas que me compreendem, até um certo ponto. Sabe por quê? Veja só se tenho razão ou não. Você já sabe do grupo neoconcreto, você já sabe que eu continuo o seu problema, que é penoso (você era homem, Mondrian, lembra-se?). No momento em que o grupo foi formado havia uma identificação profunda, a meu ver. Era a tomada de consciência de um tempo-espaço, realidade nova, universal como expressão, pois abrangia poesia, escultura, teatro, gravura e pintura. Até prosa, Mondrian… Hoje a maioria dos elementos do grupo se esquecem desta afinidade (o mais importante) e querem imprimir um sentido menor a ele, quando preferem que ele cresça sem esta identidade para mim imprescindível, numa tentativa de dar continuidade superficial a este movimento. Você bem sabe que, no cubismo, as formas foram várias mas, no sentido mais profundo que era esta nova realidade espacial, foram respeitadas. Só o tempo a meu ver traria continuidade real a este movimento.
Agora, velho, simpático mestre, diga-me com toda franqueza: meu desejo é deixar o grupo e continuar fiel a esta minha convicção, respeitando a mim mesma, embora mais só que ontem e hoje, eu serei amanhã, pois as pessoas que se aproximaram um dia, há bem pouco tempo, se afastam desorientadas sem enfrentarem a dureza de estar só num só pensamento, sem resguardar o sentido maior, ético, de morrer amanhã, sozinha mas fiel a uma idéia. Diga, meu amigo: é duro, é terrível porque é deixar de ter, mesmo sem me afastar realmente do grupo, pois já se fragmentou a unidade, a verdade dura e terrível feita a sete para se multiplicar em realidades pequenas — reconfortantes por certo, às centenas.
Hoje eu choro — o choro me cobre, me segue, me conforta e acalenta, de um certo modo, esta superfície dura, inflexível e fria da fidelidade a uma idéia.
Mondrian: hoje eu gosto de você.
Referência bibliográfica:
FERREIRA, Glória e COTRIM, Cecilia [Orgs.]. Escritos de artistas, anos 60/70. Jorge Zahar Editor: Rio de Janeiro, 2006 (p. 46-49).
Carta a Mondrian, Lygia Clark (maio de 1959)
Hoje me sinto mais solitária que ontem. Senti uma enorme necessidade de olhar o teu trabalho, velho também solitário. Dei com você numa foto fabulosa e senti como se você estivesse comigo e com isto já não me senti tão só. Talvez amanhã possa dar também de meus olhos, de minha solidão e de minha teimosia a alguém que será um artista como eu ou talvez mais ainda, como você. Não sei para que você trabalhava. Se eu trabalho, Mondrian, é para antes de mais nada me realizar no mais alto sentido ético-religioso. Não é para fazer uma superfície e outra… Se exponho é para transmitir a outra pessoa este “momento” parado na dinâmica cosmológica, que o artista capta. Você que era um místico deve quantas e quantas vezes ter vivido “momentos” como este dentro da vida, ou não?
Dizem que você detestava a natureza — é verdade? Pois eu senti hoje essa transcendência através da natureza, na noite, no amor — como você poderia ter raiva da natureza? Você não acha que a obra de arte é o produto de duas polaridades, que é a dinâmica da vida humana? Você estava preso à terra tão profundamente e o vôo no sentido da verticalidade era sua medida?
Pois a natureza me alimentou, me equilibrou quase que de uma forma panteística. Mas com o tempo, numa outra crise, já isto não adiantou e foi o “vazio pleno”, a noite, o silêncio dela que se tornou a minha moradia. Através deste “vazio-pleno” me veio a consciência da realidade metafísica, o problema existencial, a forma, o conteúdo (espaço pleno que só tem realidade em função direta da existência desta forma…).
Mondrian: você acreditou no homem. Você fez mais: num sonho utópico, estupendo, pensou em eras vindas em que a própria vida “construída” seria uma realidade plástica…
Talvez isto te salvasse da tua própria solidão. Pois eu, meu amigo, não sonho porque não acredito. Não por excesso do realismo mas para mim o coletivo só existe na razão desta desordem de ordem prática e social. Se o homem não pode sentir como
é importante esse desenvolvimento interior — chamemos de uma forma que nasce com a pessoa como um punho fechado, talvez se abrindo no primeiro tempo com o próprio nascimento — então ele jamais poderá atingir sua plenitude como a rosa que se abre dentro do seu próprio tempo e morre amorosamente realizada, inteligente e feliz…
Mondrian, um segredo eu vou te contar: às vezes, eu me sinto tão desesperada, porque no momento em que “checo” este problema a solidão, o frio, “o medo do medo” me envolvem com todos os seus braços e procuram fechar este novo tempo que desabrocha na minha forma interior, amassando pétalas frescas e delicadas que levarão novo tempo para se abrirem como se abre um olho devagar, depois de ter levado um bom murro.
Mondrian, se sua força pode me servir, seria como o bife cru colocado neste olho sofrido para que ele veja o mais depressa possível e possa encarar esta realidade às vezes tão insuportável — “o artista é um solitário”. Não importam filhos, amor, pois dentro dele ele vive só. Ele nasce dentro dele, parto difícil a cada minuto, só irremediavelmente só. Você seria talvez a chuva que molha a flor que nasceu na areia ou no asfalto, se você prefere, pois é cidade e não natureza.
Você hoje está mais vivo para mim que todas as pessoas que me compreendem, até um certo ponto. Sabe por quê? Veja só se tenho razão ou não. Você já sabe do grupo neoconcreto, você já sabe que eu continuo o seu problema, que é penoso (você era homem, Mondrian, lembra-se?). No momento em que o grupo foi formado havia uma identificação profunda, a meu ver. Era a tomada de consciência de um tempo-espaço, realidade nova, universal como expressão, pois abrangia poesia, escultura, teatro, gravura e pintura. Até prosa, Mondrian… Hoje a maioria dos elementos do grupo se esquecem desta afinidade (o mais importante) e querem imprimir um sentido menor a ele, quando preferem que ele cresça sem esta identidade para mim imprescindível, numa tentativa de dar continuidade superficial a este movimento. Você bem sabe que, no cubismo, as formas foram várias mas, no sentido mais profundo que era esta nova realidade espacial, foram respeitadas. Só o tempo a meu ver traria continuidade real a este movimento.
Agora, velho, simpático mestre, diga-me com toda franqueza: meu desejo é deixar o grupo e continuar fiel a esta minha convicção, respeitando a mim mesma, embora mais só que ontem e hoje, eu serei amanhã, pois as pessoas que se aproximaram um dia, há bem pouco tempo, se afastam desorientadas sem enfrentarem a dureza de estar só num só pensamento, sem resguardar o sentido maior, ético, de morrer amanhã, sozinha mas fiel a uma idéia. Diga, meu amigo: é duro, é terrível porque é deixar de ter, mesmo sem me afastar realmente do grupo, pois já se fragmentou a unidade, a verdade dura e terrível feita a sete para se multiplicar em realidades pequenas — reconfortantes por certo, às centenas.
Hoje eu choro — o choro me cobre, me segue, me conforta e acalenta, de um certo modo, esta superfície dura, inflexível e fria da fidelidade a uma idéia.
Mondrian: hoje eu gosto de você.
Referência bibliográfica:
FERREIRA, Glória e COTRIM, Cecilia [Orgs.]. Escritos de artistas, anos 60/70. Jorge Zahar Editor: Rio de Janeiro, 2006 (p. 46-49).
Tradução para o italiano da Carta a Mondrian, Lygia Clark (maio de1959). Lettera a Mondrian, Lygia Clark (maggio, 1959).
Oggi mi sento più solitaria di ieri. Ho sentito una necessità impellente di guardare il tuo lavoro, anche tu, un vecchio solitario. Ti ho rivisto in una foto magnifica e ho avuto la sensazione che stessi con me e per questo mi sono sentita meno sola. Forse un domani potrò dare un po’ dei miei occhi, della mia solitudine e della mia testardaggine a qualcuno che sarà un artista come me o ancor più, come te. Non so per quale ragione tu lavorassi. Se io lavoro, Mondrian, è innanzitutto per realizzarmi nel più alto senso etico-religioso. Non è tanto per creare una superficie o un’altra… Se espongo, è per poter trasmettere ad un’altra persona questo “momento” immobile nella dinamica cosmologica captata dall’artista. Tu che eri un mistico quante e quante altre volte devi aver vissuto “momenti” come questi nella tua vita, o no?
Dicono che tu detestassi la natura — è vero? Io, proprio oggi, ho avvertito un senso di trascendenza attraverso la natura, nella notte, nell’amore — come potevi provare rabbia per la natura? Non credi che l’opera d’arte sia il prodotto di due polarità, che è la dinamica della vita umana? Eri così profondamente legato alla terra e il volo in direzione verticale ne era la misura?
La natura, infatti, mi ha nutrita, mi ha equilibrata in una forma quasi panteistica. Ma col tempo, durante un’altra crisi, già non era stato più sufficiente ed è arrivato il “vuoto pieno”, la notte e il suo silenzio che è diventato la mia dimora. Attraverso questo “vuoto-pieno” è emersa in me la consapevolezza della realtà metafisica, il problema esistenziale, la forma, il contenuto (spazio pieno la cui realtà si concretizza soltanto in funzione diretta dell’esistenza di questa forma…).
Mondrian: tu hai creduto nell’uomo. Sei andato oltre: in un sogno utopico, stupendo, pensasti ad ere possibili, in cui la stessa vita “costruita” sarebbe stata una realtà plastica…
Chissà se questo ti salvava dalla tua propria solitudine. Infatti amico mio, io non sogno perché non credo. E non è per eccesso di realismo, ma per me il collettivo esiste soltanto in ragione di questo disordine di ordine pratico e sociale. Se l’uomo non può sentire quanto è importante questo sviluppo interiore — definiamolo una forma che nasce con la persona come un pugno chiuso, aprendosi forse nel primo momento della nascita — allora egli giammai potrà raggiungere la sua pienezza come la rosa che si apre in un tempo tutto suo e muore amorosamente realizzata, intelligente e felice…
Mondrian, un segreto ti racconterò: a volte, mi sento così disperata, perché nel momento in cui “verifico” questo problema, la solitudine, il freddo, “la paura della paura” mi avviluppano con tutte le loro braccia e provano a chiudere questo nuovo tempo che sboccia nella mia forma interna, schiacciandone petali freschi e delicati che ci metteranno altro tempo ad aprirsi come si apre un occhio lentamente, dopo essersi beccato un bel cazzotto.
Mondrian, se la tua forza può servirmi a qualcosa, sarà come una bistecca cruda messa sull’occhio perché esso torni a vedere il più in fretta possibile e possa affrontare questa realtà, a volte insopportabile — “l’artista è un solitario”. Figli e amore non importano, dentro di lui, infatti, vive solo. Nasce in se stesso, un parto difficile ad ogni minuto, solo irrimediabilmente solo. Tu forse potresti essere la pioggia che bagna il fiore nato sulla sabbia o sull’asfalto, se preferisci, giacché è città e non natura.
Oggi per me tu sei molto più vivo di tutte le persone che mi hanno compresa, fino ad un certo punto. Sai perché? Vedi un po’ se ho ragione o no. Già sai del gruppo neoconcreto e sai anche che continuo ad esserne il problema, il che è triste (tu eri uomo, Mondrian, ti ricordi?). Quando il gruppo si formò, c’era un’identificazione profonda, secondo me. Era la presa di coscienza di un tempo-spazio, di una realtà nuova, universale come espressione, infatti comprendeva la poesia, la scultura, il teatro, l’incisione. Persino la prosa, Mondrian…Oggi la maggioranza dei componenti del gruppo si dimentica di quest’affinità (la cosa più importante) e vuole imporvi un senso minore e preferisce che cresca senza questa identità, per me imprescindibile, in un tentativo di dare una continuità superficiale a questo movimento.
Tu sai bene che nel cubismo le forme sono state varie, ma nel senso più profondo che rappresentava questa nuova realtà spaziale, sono state rispettate. Soltanto il tempo, a mio parere, avrebbe dato continuità reale a questo movimento.
Adesso, vecchio mio, simpatico maestro, dimmi in tutta franchezza: il mio desiderio è lasciare il gruppo, continuando fedele a questa mia convinzione, rispettando me stessa, anche se, più sola di ieri e oggi, sarò domani; infatti le persone che un giorno si sono avvicinate, in tempi ben recenti, si allontanano disorientate senza affrontare la durezza dello star soli in un solo pensiero, senza considerare il più alto senso etico di morire domani — sola, ma fedele ad un’idea. Dimmi, amico mio: è duro, è terribile perché è come smettere di avere, anche senza staccarmi veramente dal gruppo — infatti l’unità già si è frammentata — la verità dura e terribile fatta in sette per poi moltiplicarsi in altrettante piccole realtà, sicuramente cento volte più consolatorie.
Oggi io piango — il pianto mi copre, mi segue, mi consola e rinfranca, in qualche modo, questa superficie dura, inflessibile e fredda di fedeltà ad un’idea.
Mondrian: oggi ti voglio bene.
Referência bibliográfica do original:
FERREIRA, Glória e COTRIM, Cecilia [Orgs.]. Escritos de artistas, anos 60/70. Jorge Zahar Editor: Rio de Janeiro, 2006 (p. 46-49).
Tradução para o italiano da Carta a Mondrian, Lygia Clark (maio de1959). Lettera a Mondrian, Lygia Clark (maggio, 1959).
Oggi mi sento più solitaria di ieri. Ho sentito una necessità impellente di guardare il tuo lavoro, anche tu, un vecchio solitario. Ti ho rivisto in una foto magnifica e ho avuto la sensazione che stessi con me e per questo mi sono sentita meno sola. Forse un domani potrò dare un po’ dei miei occhi, della mia solitudine e della mia testardaggine a qualcuno che sarà un artista come me o ancor più, come te. Non so per quale ragione tu lavorassi. Se io lavoro, Mondrian, è innanzitutto per realizzarmi nel più alto senso etico-religioso. Non è tanto per creare una superficie o un’altra… Se espongo, è per poter trasmettere ad un’altra persona questo “momento” immobile nella dinamica cosmologica captata dall’artista. Tu che eri un mistico quante e quante altre volte devi aver vissuto “momenti” come questi nella tua vita, o no?
Dicono che tu detestassi la natura — è vero? Io, proprio oggi, ho avvertito un senso di trascendenza attraverso la natura, nella notte, nell’amore — come potevi provare rabbia per la natura? Non credi che l’opera d’arte sia il prodotto di due polarità, che è la dinamica della vita umana? Eri così profondamente legato alla terra e il volo in direzione verticale ne era la misura?
La natura, infatti, mi ha nutrita, mi ha equilibrata in una forma quasi panteistica. Ma col tempo, durante un’altra crisi, già non era stato più sufficiente ed è arrivato il “vuoto pieno”, la notte e il suo silenzio che è diventato la mia dimora. Attraverso questo “vuoto-pieno” è emersa in me la consapevolezza della realtà metafisica, il problema esistenziale, la forma, il contenuto (spazio pieno la cui realtà si concretizza soltanto in funzione diretta dell’esistenza di questa forma…).
Mondrian: tu hai creduto nell’uomo. Sei andato oltre: in un sogno utopico, stupendo, pensasti ad ere possibili, in cui la stessa vita “costruita” sarebbe stata una realtà plastica…
Chissà se questo ti salvava dalla tua propria solitudine. Infatti amico mio, io non sogno perché non credo. E non è per eccesso di realismo, ma per me il collettivo esiste soltanto in ragione di questo disordine di ordine pratico e sociale. Se l’uomo non può sentire quanto è importante questo sviluppo interiore — definiamolo una forma che nasce con la persona come un pugno chiuso, aprendosi forse nel primo momento della nascita — allora egli giammai potrà raggiungere la sua pienezza come la rosa che si apre in un tempo tutto suo e muore amorosamente realizzata, intelligente e felice…
Mondrian, un segreto ti racconterò: a volte, mi sento così disperata, perché nel momento in cui “verifico” questo problema, la solitudine, il freddo, “la paura della paura” mi avviluppano con tutte le loro braccia e provano a chiudere questo nuovo tempo che sboccia nella mia forma interna, schiacciandone petali freschi e delicati che ci metteranno altro tempo ad aprirsi come si apre un occhio lentamente, dopo essersi beccato un bel cazzotto.
Mondrian, se la tua forza può servirmi a qualcosa, sarà come una bistecca cruda messa sull’occhio perché esso torni a vedere il più in fretta possibile e possa affrontare questa realtà, a volte insopportabile — “l’artista è un solitario”. Figli e amore non importano, dentro di lui, infatti, vive solo. Nasce in se stesso, un parto difficile ad ogni minuto, solo irrimediabilmente solo. Tu forse potresti essere la pioggia che bagna il fiore nato sulla sabbia o sull’asfalto, se preferisci, giacché è città e non natura.
Oggi per me tu sei molto più vivo di tutte le persone che mi hanno compresa, fino ad un certo punto. Sai perché? Vedi un po’ se ho ragione o no. Già sai del gruppo neoconcreto e sai anche che continuo ad esserne il problema, il che è triste (tu eri uomo, Mondrian, ti ricordi?). Quando il gruppo si formò, c’era un’identificazione profonda, secondo me. Era la presa di coscienza di un tempo-spazio, di una realtà nuova, universale come espressione, infatti comprendeva la poesia, la scultura, il teatro, l’incisione. Persino la prosa, Mondrian…Oggi la maggioranza dei componenti del gruppo si dimentica di quest’affinità (la cosa più importante) e vuole imporvi un senso minore e preferisce che cresca senza questa identità, per me imprescindibile, in un tentativo di dare una continuità superficiale a questo movimento.
Tu sai bene che nel cubismo le forme sono state varie, ma nel senso più profondo che rappresentava questa nuova realtà spaziale, sono state rispettate. Soltanto il tempo, a mio parere, avrebbe dato continuità reale a questo movimento.
Adesso, vecchio mio, simpatico maestro, dimmi in tutta franchezza: il mio desiderio è lasciare il gruppo, continuando fedele a questa mia convinzione, rispettando me stessa, anche se, più sola di ieri e oggi, sarò domani; infatti le persone che un giorno si sono avvicinate, in tempi ben recenti, si allontanano disorientate senza affrontare la durezza dello star soli in un solo pensiero, senza considerare il più alto senso etico di morire domani — sola, ma fedele ad un’idea. Dimmi, amico mio: è duro, è terribile perché è come smettere di avere, anche senza staccarmi veramente dal gruppo — infatti l’unità già si è frammentata — la verità dura e terribile fatta in sette per poi moltiplicarsi in altrettante piccole realtà, sicuramente cento volte più consolatorie.
Oggi io piango — il pianto mi copre, mi segue, mi consola e rinfranca, in qualche modo, questa superficie dura, inflessibile e fredda di fedeltà ad un’idea.
Mondrian: oggi ti voglio bene.
Referência bibliográfica do original:
FERREIRA, Glória e COTRIM, Cecilia [Orgs.]. Escritos de artistas, anos 60/70. Jorge Zahar Editor: Rio de Janeiro, 2006 (p. 46-49).
Carta a Mondrian, Lygia Clark (maio de 1959)
Hoje me sinto mais solitária que ontem. Senti uma enorme necessidade de olhar o teu trabalho, velho também solitário. Dei com você numa foto fabulosa e senti como se você estivesse comigo e com isto já não me senti tão só. Talvez amanhã possa dar também de meus olhos, de minha solidão e de minha teimosia a alguém que será um artista como eu ou talvez mais ainda, como você. Não sei para que você trabalhava. Se eu trabalho, Mondrian, é para antes de mais nada me realizar no mais alto sentido ético-religioso. Não é para fazer uma superfície e outra… Se exponho é para transmitir a outra pessoa este “momento” parado na dinâmica cosmológica, que o artista capta. Você que era um místico deve quantas e quantas vezes ter vivido “momentos” como este dentro da vida, ou não?
Dizem que você detestava a natureza — é verdade? Pois eu senti hoje essa transcendência através da natureza, na noite, no amor — como você poderia ter raiva da natureza? Você não acha que a obra de arte é o produto de duas polaridades, que é a dinâmica da vida humana? Você estava preso à terra tão profundamente e o vôo no sentido da verticalidade era sua medida?
Pois a natureza me alimentou, me equilibrou quase que de uma forma panteística. Mas com o tempo, numa outra crise, já isto não adiantou e foi o “vazio pleno”, a noite, o silêncio dela que se tornou a minha moradia. Através deste “vazio-pleno” me veio a consciência da realidade metafísica, o problema existencial, a forma, o conteúdo (espaço pleno que só tem realidade em função direta da existência desta forma…).
Mondrian: você acreditou no homem. Você fez mais: num sonho utópico, estupendo, pensou em eras vindas em que a própria vida “construída” seria uma realidade plástica…
Talvez isto te salvasse da tua própria solidão. Pois eu, meu amigo, não sonho porque não acredito. Não por excesso do realismo mas para mim o coletivo só existe na razão desta desordem de ordem prática e social. Se o homem não pode sentir como
é importante esse desenvolvimento interior — chamemos de uma forma que nasce com a pessoa como um punho fechado, talvez se abrindo no primeiro tempo com o próprio nascimento — então ele jamais poderá atingir sua plenitude como a rosa que se abre dentro do seu próprio tempo e morre amorosamente realizada, inteligente e feliz…
Mondrian, um segredo eu vou te contar: às vezes, eu me sinto tão desesperada, porque no momento em que “checo” este problema a solidão, o frio, “o medo do medo” me envolvem com todos os seus braços e procuram fechar este novo tempo que desabrocha na minha forma interior, amassando pétalas frescas e delicadas que levarão novo tempo para se abrirem como se abre um olho devagar, depois de ter levado um bom murro.
Mondrian, se sua força pode me servir, seria como o bife cru colocado neste olho sofrido para que ele veja o mais depressa possível e possa encarar esta realidade às vezes tão insuportável — “o artista é um solitário”. Não importam filhos, amor, pois dentro dele ele vive só. Ele nasce dentro dele, parto difícil a cada minuto, só irremediavelmente só. Você seria talvez a chuva que molha a flor que nasceu na areia ou no asfalto, se você prefere, pois é cidade e não natureza.
Você hoje está mais vivo para mim que todas as pessoas que me compreendem, até um certo ponto. Sabe por quê? Veja só se tenho razão ou não. Você já sabe do grupo neoconcreto, você já sabe que eu continuo o seu problema, que é penoso (você era homem, Mondrian, lembra-se?). No momento em que o grupo foi formado havia uma identificação profunda, a meu ver. Era a tomada de consciência de um tempo-espaço, realidade nova, universal como expressão, pois abrangia poesia, escultura, teatro, gravura e pintura. Até prosa, Mondrian… Hoje a maioria dos elementos do grupo se esquecem desta afinidade (o mais importante) e querem imprimir um sentido menor a ele, quando preferem que ele cresça sem esta identidade para mim imprescindível, numa tentativa de dar continuidade superficial a este movimento. Você bem sabe que, no cubismo, as formas foram várias mas, no sentido mais profundo que era esta nova realidade espacial, foram respeitadas. Só o tempo a meu ver traria continuidade real a este movimento.
Agora, velho, simpático mestre, diga-me com toda franqueza: meu desejo é deixar o grupo e continuar fiel a esta minha convicção, respeitando a mim mesma, embora mais só que ontem e hoje, eu serei amanhã, pois as pessoas que se aproximaram um dia, há bem pouco tempo, se afastam desorientadas sem enfrentarem a dureza de estar só num só pensamento, sem resguardar o sentido maior, ético, de morrer amanhã, sozinha mas fiel a uma idéia. Diga, meu amigo: é duro, é terrível porque é deixar de ter, mesmo sem me afastar realmente do grupo, pois já se fragmentou a unidade, a verdade dura e terrível feita a sete para se multiplicar em realidades pequenas — reconfortantes por certo, às centenas.
Hoje eu choro — o choro me cobre, me segue, me conforta e acalenta, de um certo modo, esta superfície dura, inflexível e fria da fidelidade a uma idéia.
Mondrian: hoje eu gosto de você.
Referência bibliográfica:
FERREIRA, Glória e COTRIM, Cecilia [Orgs.]. Escritos de artistas, anos 60/70. Jorge Zahar Editor: Rio de Janeiro, 2006 (p. 46-49).
Carta a Mondrian, Lygia Clark (maio de 1959)
Hoje me sinto mais solitária que ontem. Senti uma enorme necessidade de olhar o teu trabalho, velho também solitário. Dei com você numa foto fabulosa e senti como se você estivesse comigo e com isto já não me senti tão só. Talvez amanhã possa dar também de meus olhos, de minha solidão e de minha teimosia a alguém que será um artista como eu ou talvez mais ainda, como você. Não sei para que você trabalhava. Se eu trabalho, Mondrian, é para antes de mais nada me realizar no mais alto sentido ético-religioso. Não é para fazer uma superfície e outra… Se exponho é para transmitir a outra pessoa este “momento” parado na dinâmica cosmológica, que o artista capta. Você que era um místico deve quantas e quantas vezes ter vivido “momentos” como este dentro da vida, ou não?
Dizem que você detestava a natureza — é verdade? Pois eu senti hoje essa transcendência através da natureza, na noite, no amor — como você poderia ter raiva da natureza? Você não acha que a obra de arte é o produto de duas polaridades, que é a dinâmica da vida humana? Você estava preso à terra tão profundamente e o vôo no sentido da verticalidade era sua medida?
Pois a natureza me alimentou, me equilibrou quase que de uma forma panteística. Mas com o tempo, numa outra crise, já isto não adiantou e foi o “vazio pleno”, a noite, o silêncio dela que se tornou a minha moradia. Através deste “vazio-pleno” me veio a consciência da realidade metafísica, o problema existencial, a forma, o conteúdo (espaço pleno que só tem realidade em função direta da existência desta forma…).
Mondrian: você acreditou no homem. Você fez mais: num sonho utópico, estupendo, pensou em eras vindas em que a própria vida “construída” seria uma realidade plástica…
Talvez isto te salvasse da tua própria solidão. Pois eu, meu amigo, não sonho porque não acredito. Não por excesso do realismo mas para mim o coletivo só existe na razão desta desordem de ordem prática e social. Se o homem não pode sentir como
é importante esse desenvolvimento interior — chamemos de uma forma que nasce com a pessoa como um punho fechado, talvez se abrindo no primeiro tempo com o próprio nascimento — então ele jamais poderá atingir sua plenitude como a rosa que se abre dentro do seu próprio tempo e morre amorosamente realizada, inteligente e feliz…
Mondrian, um segredo eu vou te contar: às vezes, eu me sinto tão desesperada, porque no momento em que “checo” este problema a solidão, o frio, “o medo do medo” me envolvem com todos os seus braços e procuram fechar este novo tempo que desabrocha na minha forma interior, amassando pétalas frescas e delicadas que levarão novo tempo para se abrirem como se abre um olho devagar, depois de ter levado um bom murro.
Mondrian, se sua força pode me servir, seria como o bife cru colocado neste olho sofrido para que ele veja o mais depressa possível e possa encarar esta realidade às vezes tão insuportável — “o artista é um solitário”. Não importam filhos, amor, pois dentro dele ele vive só. Ele nasce dentro dele, parto difícil a cada minuto, só irremediavelmente só. Você seria talvez a chuva que molha a flor que nasceu na areia ou no asfalto, se você prefere, pois é cidade e não natureza.
Você hoje está mais vivo para mim que todas as pessoas que me compreendem, até um certo ponto. Sabe por quê? Veja só se tenho razão ou não. Você já sabe do grupo neoconcreto, você já sabe que eu continuo o seu problema, que é penoso (você era homem, Mondrian, lembra-se?). No momento em que o grupo foi formado havia uma identificação profunda, a meu ver. Era a tomada de consciência de um tempo-espaço, realidade nova, universal como expressão, pois abrangia poesia, escultura, teatro, gravura e pintura. Até prosa, Mondrian… Hoje a maioria dos elementos do grupo se esquecem desta afinidade (o mais importante) e querem imprimir um sentido menor a ele, quando preferem que ele cresça sem esta identidade para mim imprescindível, numa tentativa de dar continuidade superficial a este movimento. Você bem sabe que, no cubismo, as formas foram várias mas, no sentido mais profundo que era esta nova realidade espacial, foram respeitadas. Só o tempo a meu ver traria continuidade real a este movimento.
Agora, velho, simpático mestre, diga-me com toda franqueza: meu desejo é deixar o grupo e continuar fiel a esta minha convicção, respeitando a mim mesma, embora mais só que ontem e hoje, eu serei amanhã, pois as pessoas que se aproximaram um dia, há bem pouco tempo, se afastam desorientadas sem enfrentarem a dureza de estar só num só pensamento, sem resguardar o sentido maior, ético, de morrer amanhã, sozinha mas fiel a uma idéia. Diga, meu amigo: é duro, é terrível porque é deixar de ter, mesmo sem me afastar realmente do grupo, pois já se fragmentou a unidade, a verdade dura e terrível feita a sete para se multiplicar em realidades pequenas — reconfortantes por certo, às centenas.
Hoje eu choro — o choro me cobre, me segue, me conforta e acalenta, de um certo modo, esta superfície dura, inflexível e fria da fidelidade a uma idéia.
Mondrian: hoje eu gosto de você.
Referência bibliográfica:
FERREIRA, Glória e COTRIM, Cecilia [Orgs.]. Escritos de artistas, anos 60/70. Jorge Zahar Editor: Rio de Janeiro, 2006 (p. 46-49).
Tradução para o italiano da Carta a Mondrian, Lygia Clark (maio de1959). Lettera a Mondrian, Lygia Clark (maggio, 1959).
Oggi mi sento più solitaria di ieri. Ho sentito una necessità impellente di guardare il tuo lavoro, anche tu, un vecchio solitario. Ti ho rivisto in una foto magnifica e ho avuto la sensazione che stessi con me e per questo mi sono sentita meno sola. Forse un domani potrò dare un po’ dei miei occhi, della mia solitudine e della mia testardaggine a qualcuno che sarà un artista come me o ancor più, come te. Non so per quale ragione tu lavorassi. Se io lavoro, Mondrian, è innanzitutto per realizzarmi nel più alto senso etico-religioso. Non è tanto per creare una superficie o un’altra… Se espongo, è per poter trasmettere ad un’altra persona questo “momento” immobile nella dinamica cosmologica captata dall’artista. Tu che eri un mistico quante e quante altre volte devi aver vissuto “momenti” come questi nella tua vita, o no?
Dicono che tu detestassi la natura — è vero? Io, proprio oggi, ho avvertito un senso di trascendenza attraverso la natura, nella notte, nell’amore — come potevi provare rabbia per la natura? Non credi che l’opera d’arte sia il prodotto di due polarità, che è la dinamica della vita umana? Eri così profondamente legato alla terra e il volo in direzione verticale ne era la misura?
La natura, infatti, mi ha nutrita, mi ha equilibrata in una forma quasi panteistica. Ma col tempo, durante un’altra crisi, già non era stato più sufficiente ed è arrivato il “vuoto pieno”, la notte e il suo silenzio che è diventato la mia dimora. Attraverso questo “vuoto-pieno” è emersa in me la consapevolezza della realtà metafisica, il problema esistenziale, la forma, il contenuto (spazio pieno la cui realtà si concretizza soltanto in funzione diretta dell’esistenza di questa forma…).
Mondrian: tu hai creduto nell’uomo. Sei andato oltre: in un sogno utopico, stupendo, pensasti ad ere possibili, in cui la stessa vita “costruita” sarebbe stata una realtà plastica…
Chissà se questo ti salvava dalla tua propria solitudine. Infatti amico mio, io non sogno perché non credo. E non è per eccesso di realismo, ma per me il collettivo esiste soltanto in ragione di questo disordine di ordine pratico e sociale. Se l’uomo non può sentire quanto è importante questo sviluppo interiore — definiamolo una forma che nasce con la persona come un pugno chiuso, aprendosi forse nel primo momento della nascita — allora egli giammai potrà raggiungere la sua pienezza come la rosa che si apre in un tempo tutto suo e muore amorosamente realizzata, intelligente e felice…
Mondrian, un segreto ti racconterò: a volte, mi sento così disperata, perché nel momento in cui “verifico” questo problema, la solitudine, il freddo, “la paura della paura” mi avviluppano con tutte le loro braccia e provano a chiudere questo nuovo tempo che sboccia nella mia forma interna, schiacciandone petali freschi e delicati che ci metteranno altro tempo ad aprirsi come si apre un occhio lentamente, dopo essersi beccato un bel cazzotto.
Mondrian, se la tua forza può servirmi a qualcosa, sarà come una bistecca cruda messa sull’occhio perché esso torni a vedere il più in fretta possibile e possa affrontare questa realtà, a volte insopportabile — “l’artista è un solitario”. Figli e amore non importano, dentro di lui, infatti, vive solo. Nasce in se stesso, un parto difficile ad ogni minuto, solo irrimediabilmente solo. Tu forse potresti essere la pioggia che bagna il fiore nato sulla sabbia o sull’asfalto, se preferisci, giacché è città e non natura.
Oggi per me tu sei molto più vivo di tutte le persone che mi hanno compresa, fino ad un certo punto. Sai perché? Vedi un po’ se ho ragione o no. Già sai del gruppo neoconcreto e sai anche che continuo ad esserne il problema, il che è triste (tu eri uomo, Mondrian, ti ricordi?). Quando il gruppo si formò, c’era un’identificazione profonda, secondo me. Era la presa di coscienza di un tempo-spazio, di una realtà nuova, universale come espressione, infatti comprendeva la poesia, la scultura, il teatro, l’incisione. Persino la prosa, Mondrian…Oggi la maggioranza dei componenti del gruppo si dimentica di quest’affinità (la cosa più importante) e vuole imporvi un senso minore e preferisce che cresca senza questa identità, per me imprescindibile, in un tentativo di dare una continuità superficiale a questo movimento.
Tu sai bene che nel cubismo le forme sono state varie, ma nel senso più profondo che rappresentava questa nuova realtà spaziale, sono state rispettate. Soltanto il tempo, a mio parere, avrebbe dato continuità reale a questo movimento.
Adesso, vecchio mio, simpatico maestro, dimmi in tutta franchezza: il mio desiderio è lasciare il gruppo, continuando fedele a questa mia convinzione, rispettando me stessa, anche se, più sola di ieri e oggi, sarò domani; infatti le persone che un giorno si sono avvicinate, in tempi ben recenti, si allontanano disorientate senza affrontare la durezza dello star soli in un solo pensiero, senza considerare il più alto senso etico di morire domani — sola, ma fedele ad un’idea. Dimmi, amico mio: è duro, è terribile perché è come smettere di avere, anche senza staccarmi veramente dal gruppo — infatti l’unità già si è frammentata — la verità dura e terribile fatta in sette per poi moltiplicarsi in altrettante piccole realtà, sicuramente cento volte più consolatorie.
Oggi io piango — il pianto mi copre, mi segue, mi consola e rinfranca, in qualche modo, questa superficie dura, inflessibile e fredda di fedeltà ad un’idea.
Mondrian: oggi ti voglio bene.
Referência bibliográfica do original:
FERREIRA, Glória e COTRIM, Cecilia [Orgs.]. Escritos de artistas, anos 60/70. Jorge Zahar Editor: Rio de Janeiro, 2006 (p. 46-49).